Mambo – storia di un ritmo che ha conquistato il mondo

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MAMBO
Il mambo è un genere musicale divenuto danza che trovò le sue origini sull’isola di Cuba al principio degli anni ’30 e che raggiunse il picco del successo tra gli anni ’50 e ’70 diffondendosi nel mondo come un’ innovazione travolgente.
Il termine “mambo” è probabilmente legato al nome del Dio della guerra a cui la popolazione africana era solita dedicare rituali caratteristici. Il riferimento alla parola “mambo” era rivolto fondamentalmente a tutta la musica religiosa e spirituale il cui fine ultimo si concretizzava nella volontà sciamanica di entrare in contatto con le divinità. Si suppone che una delle tante interpretazioni del termine sia “sacerdotesse” o “coloro che parlano con Dio” evidenziando l’importanza del ruolo femminile nella comunicazione divina oltre a quello maschile dei capi tribù, concetto molto vicino alle descrizioni comuni delle pratiche voodoo.
Subito dopo la fine della schiavitù si avvertì da parte dalla popolazione liberata la necessità di dare vita ad un ballo più frenetico e dal ritmo più travolgente dato che fino a quel momento le danze erano risultate molto limitate nei movimenti ed eccessivamente ridotte in termini di spazio (poiché i piedi dei bailadores erano costretti da impietose catene).
Come evoluzione del danzon, quindi, la trasformazione del mambo si diffuse a Cuba attraverso un ritmo scandito principalmente da strumenti a percussione a cui nel tempo si aggiunsero strumenti a fiato e a corda.

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La paternità di questo nuovo genere è stata contesa da molti artisti, in particolare il violoncellista Oreste Lopez, il quale composto un danzon gli affidò il nome “mambo” ed Arsenio Rodriguez che unì il son a musiche proprie dei rituali voodoo.

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Il mambo, quindi, iniziò la sua storica evoluzione soprattutto con l’introduzione del ritmo “sincopato” che rese il brano molto più coinvolgente.
L’allontanamento ritmicamente più significativo dal danzon fu decretato da Antonio Arcaño il quale introdusse il pianoforte in un già crescente panorama strumentale. Ne conseguì un graduale distacco anche dal son i cui ritmi erano decisamente troppo lenti per il “nuovo mambo”.

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La diffusione mondiale incalzò con artisti come Celia Cruz, Tito Puente e soprattutto Perez Prado il quale veicoló la cultura musicale del mambo prima in Messico (introducendo l’organo come strumento) poi a New York dove fu “incoronato Re del Mambo” (enfatizzando le percussioni e inserendo strumenti a fiato) fino ad arrivare in Europa dove, specialmente nel periodo successivo alla fine della seconda guerra mondiale, il mambo trovò terreno fertile innescando una vera e propria “febbre mambo”.
Dal punto di vista coreografico, in un primo momento le figure erano davvero poche e soprattutto effettuate secondo linee di ballo esclusivamente “orizzontali“, successivamente il ritmo divenne troppo incalzante per garantire una gradevole armonia stilistica nel movimento, per cui le figure aumentarono numericamente e vennero inseriti passi e movenze eseguite anche in variazioni “verticali” (avanti e indietro).
Risulta di notevole importanza sottolineare la vorticosa metamorfosi del mambo avvenuta durante questi anni attraverso l’evidente contaminazione geografica e culturale. Un “mambo” che si genera a Cuba e che passando per Puerto Rico giunge a New York imbevuto di miscele ritmiche e strumentali sempre più ricche ed evolute.

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Infatti, è proprio nei locali newyorkesi che i musicisti riscontrarono non poche difficoltà nell’ attribuire un’ etichetta comune a questo neonato e variegato mix di ritmi: nasce la “salsa“, termine coniato appunto per facilitare l’individuazione di un genere che sarà in seguito meglio noto come “salsa mambo” o “salsa New York style” e che giungerà nella luminosa e notturna Los Angeles la quale renderà la salsa un vero e proprio “spettacolo acrobatico“.

*i contenuti di questo articolo hanno carattere divulgativo ed informativo.
** i contenuti di questo articolo trovano ispirazione dall’esperienza didattica e professionale dell’autore unitamente ad una selezionata ricerca sitografica e bibliografica.

Del M° Nicola Gelsomino

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2a Parte – Regla De Ocha o Santeria – Afro- Cubana | Orishas ( Changò – Yemaja – Babalù ayè )

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CHANGÓ
Changó è uno degli Orichas più importanti e venerati nella mitologia Yoruba ed i suoi poteri sono associati al fuoco, ai fulmini e ai tuoni di cui è considerato il Signore.È una divinità poliedrica che presenta caratteristiche proprie dei saccheggiatori e dei cacciatori, è tuttavia garante di giustizia (l’ascia bipenne, detta Oxê, che porta con se ne è il simbolo) ed è capace di scatenare forti ire con gravi punizioni per bugiardi e malfattori. È considerato anche il re dei tamburi, a lui appartengono i tamburi Batà. In qualità di Signore del fuoco è rispettato come protettore degli incendi e delle ustioni. È dipinto come un incomparabile donnaiolo, nutre una forte passione per il sesso femminile e per questo motivo vanta di innumerevoli amanti oltre alle mogli ufficiali: Oya, Obba Yurú e Ochun.
Si narra  che il suo concepimento avvenne quando Aganju (antica divinità dei vulcani, dei boschi e dei fiumi) si oppose ad Obatalà intento a voler attraversare il fiume. Quest’ultimo, al fine di aggirare il divieto, si trasformò in una bellissima donna a cui Aganju si unì generando Changó.
La sua festa è il 4 dicembre e all’Avana ci sono grandi festeggiamenti in suo onore (soprattutto danze rappresentative accompagnate dal suono di tamburi). Changó nella danza generalmente simula il gesto di prelevare un fulmine dal cielo e di portarlo, con movimenti rapidi e decisi, in prossimità dei suoi genitali come segno di virilità e di forza.
Si sincretizza in Santa Barbara ed i suoi colori sono il rosso e il bianco.

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YEMAJA
Yemaja (contrazione del nome Yey Omo Eja ossia “madre dei pesci”) è riconosciuta divinità delle acque, dei mari, degli oceani, della fertilità e dell’abbondanza (a lei si affidano le donne in gravidanza o coloro che hanno difficoltà a concepire).
Secondo la tradizione afro-caraibica è madre di tutti gli Orichas. Si narra che Yemaja fu rapita e violentata da suo figlio il quale fu colpito a morte da una potente maledizione scagliata contro di lui dalla sua stessa madre. In preda allo sconforto la dea si recò sul punto più alto di un monte nel tentativo di togliersi la vita. In quel preciso istante si ruppero lo acque (da qui il riferimento al liquido amniotico fonte di vita per gli umani associato da molti al merito affidato all’elemento “acqua” di rappresentare la primordiale fonte di vita) e partorì 14 Orichas (alcune fonti ne dichiarano 15).
Yemaja è una divinità che vanta una doppia rappresentazione. La prima è quella dotata di una personalità materna, compassionevole nei confronti dei sui figli, generosa, protettiva e con un forte senso di equità e giustizia. La seconda è un vero e proprio “mare in tempesta”, scatenata la sua ira mostra una violenta e terrificante collera.
A tutti coloro che sono a lei consacrati è imposto il divieto di pronunciare il suo nome prima di aver toccato terra con le dita e averne baciato la polvere.
È rappresentata come una bellissima donna, indossa una veste azzurra a sette veli (come sette sono i mari) con serpentine bianche (che simboleggiano le acque e la spuma delle onde) che fa ruotare simulando il movimento ondulatorio del mare. La sua danza, infatti, inizia con una risata intensa seguita da movimenti che mimano sempre più velocemente le azioni di nuotare o di remare.
Accessori immancabili sono un ventaglio in oro e madreperla decorato con conchiglie (considerate sacre e dentro cui spesso i devoti scrivevano messaggi che lasciavano sulla riva insieme a della frutta offerta in dono) e una collana di cristalli e pietre azzurre.
Si sincretizza come “Vergine de la Regla” protettrice del porto dell’Avana, delle gestanti e di tutti coloro che hanno problemi derivanti dall’acqua (es. i naufraghi).
Il suo giorno è il sabato ed il suo numero il 7.
I suoi attributi sono le scialuppe, il salvagente, la luna, il sole e l’ancora.
I suoi colori sono il blu è il bianco.

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BABALÚ AYÉ
Babalú Ayé nella Regla de Osha è l’Oricha delle malattie (soprattutto della pelle) e delle epidemie. I suoi messaggeri sono le mosche e le zanzare poiché loro stesse portatrici di malattie. A lui i devoti chiedono la grazia della guarigione, spesso è possibile individuare scie di fedeli vestiti di bianco processare in ginocchio percorrendo la strada verso il suo santuario dispensando denaro ai mendicanti e sperando in un miracolo che estingua la loro malattia o quella dei loro cari. Come strategia perché le famiglie fossero protette da qualunque patologia, i credenti posizionavano sulla porta di ingresso delle abitazioni un amuleto costituito da un sacchetto cucito con della iuta e pieno di erbe e aglio maschio il quale veniva defumato con incenso bianco e chiuso con un nastro viola accanto ad una candela accesa del medesimo colore.
Figlio di Yemaja e Orungan, Babalù Ayé è una divinità (per molti un semidio) associata alla  genesi della Terra (dal nome Oba= re e aiye=terra). Secondo la mitologia Orisha, Olorun (creatore supremo della popolazione Yoruba e padre di Obatalà) fece dono a Babalù Ayé di una potente energia sessuale, motivo per cui egli trascorreva gran parte del suo tempo a consumare coiti con numerose donne. Orolun, però, si dimostrò estremamente contrariato rispetto a questa condotta così lussuriosa per cui inviò sulla Terra un suo messaggero al fine di esortare Babalù Ayé a limitare la sua brama sessuale e a poter godere della sua vigoria tutti i giorni della settimana ad esclusione del venerdì “Santo”. Ciò non avvenne nonostante l’avvertimento divino per cui Babalù Ayé fu condannato a contrarre la sifilide e a morire. Fu poi resuscitato dal Grande Padre grazie all’ intercessione di Oshun (divinità dell’amore) ma tornato in vita la sua condotta risultò recidiva.
È rappresentato come un vecchio mendicante ricoperto di piaghe,ingobbito, vestito di juta con appesa al collo una collana a perle bianche rigate con il nero o con il blu oppure solo nere.
Nella danza si trascina come un malato (spesso interpretando crisi convulsive) e simulando una purificazione con un un suo attribuito (un “Aja” ossia un fascio d’erba) si rialza da terra gioendo dell’avvenuta guarigione.
Ha una personalità benevola, è garante di giustizia ma può risultare molto vendicativo con coloro che non mantengono le promesse fatte o con chi ignora i suoi consigli.
Si sincretizza in San Lazzaro, i suoi giorni sono il mercoledì e il venerdì. La sua festa è celebrata il 17 dicembre ed il suo colore è il viola vescovile.

*i contenuti di questo articolo hanno carattere divulgativo ed informativo.
** i contenuti di questo articolo trovano ispirazione dall’esperienza didattica e professionale dell’autore unitamente ad una selezionata ricerca sitografica e bibliografica.

Del M° Nicola Gelsomino