Il son cubano a cura del M° Nicola Gelsomino

Il son nasce a Cuba e unisce la tradizione musicale dei colonizzatori spagnoli con quella degli schiavi africani ed è il genere che ha dato origine ai ritmi caraibici più ballati al giorno d’oggi primo tra tutti la Salsa.

Questo stile si affermò nel corso degli anni ’30, anche se la sua nascita si fa risalire alla fine del XIX secolo, e la sua forma è paragonabile al blues degli Stati Uniti: semplice e permeato dalla sua cultura di origine, con melodie spagnole marcate da ritmi africani, con un’alternanza di strofe con domande e risposte tra il cantante e il coro. La diffusione del son è avvenuta grazie ai Trova, musicisti che giravano Cuba raccontando nelle loro canzoni le storie degli schiavi e dei colonizzatori fino al 1916 quando i fratelli Martinez fondarono il primo gruppo ufficiale di son, “Quartetto Oriental”, che nel 1918 cominciò a registrare con il nome di “Sexteto Habanero”.

L’emergere del son cubano aumentò l’interazione tra cultura spagnola e africana e permise ai musicisti neri di guadagnare attraverso le proprie esibizioni e di entrare in un ambiente che prima era riservato solo agli europei. Nonostante ciò, nella Cuba del 1910, la superiorità dei bianchi era molto forte e, quando il son cominciò a diffondersi sia tra i bianchi che tra i neri, la classe dirigente guardò con preoccupazione al fenomeno e il son rimase nell’ombra fino al 1922 quando arrivò la radio e la popolarità di L’Avana. In quel momento il son conobbe una notevole impennata che, tra il 1925 e il 1928, visse un periodo di trasformazione in cui da genere di nicchia divenne celebre in tutta l’isola. La svolta definitiva ci fu, però, quando il presidente Machado chiese per il suo compleanno l’orchestra “Sonora Matancera” episodio che, unito ai tanti musicisti che oltrepassano i confini nazionali per andare ad esibirsi in tutto il sud America, portò la popolarità del son anche nella stessa Cuba. Alla fine degli anni ’20 la popolarità del son continuava a crescere e nascevano nuovi gruppi e cantanti tra cui spiccò Rita Montaner che, nel 1928 con la sua “El Manicero”, riuscì a far entrare la prima canzone cubana nella hit parade europea e la portò anche, nel 1930, negli Stati Uniti dove ebbe un grande ed inaspettato successo.

Con l’arrivo del Cha cha cha e del Mambo negli Stati Uniti, il son divenne ancora più popolare poichè padre di quest’ultimi e, unito alla rivoluzione cubana, tutte le forme di musica afrocubane contribuirono allo sviluppo della salsa. Alla fine degli anni 30 l’epoca d’oro del son classico, però, era già terminata poichè i gruppi furono sostituiti dalle band di latin jazz facendo sì che, la stessa musica che il son aveva contribuito a creare, fosse la più richiesta a Cuba. I gruppi di son classico cominciarono a disgregarsi, a cambiare genere o ad esibirsi solo nelle comunità afrocubane portando, alla fine degli anni ’40, un disinteresse per il son anche tra i cubani più conservatori. In più negli anni’ 40 e ’50, con il boom turistico a Cuba e la popolarità del jazz e delle sonorità americane, le band che si svilupparono erano molto simili a quelle jazzistiche per avvicinarsi al gusto del pubblico occidentale, abbandonando del tutto le sonorità tipicamente africane. Allo stesso tempo i produttori discografici incidevano e diffondevano principalmente i dischi delle big band che riproducevano quelle sonorità divenute ormai popolari a Cuba. Nel 1991 però la caduta dell’URSS ( maggior partner economico di Cuba) costrinse l’isola a incoraggiare il turismo per aumentare le entrate. In quel momento la musica tradizionale cubana divenne una delle attrazioni principali dell’isola e con il film, e il successivo album, “Buena Vista Social Club” il son riprese popolarità diventando un fenomeno mondiale. Grazie a questi avvenimenti il son è stato pienamente riscoperto dentro e fuori i confini dei Caraibi, e si è riusciti a far riscoprire il son anche alle nuove generazioni sia a Cuba sia nel resto del mondo, dove non era mai stato sentito prima.

“Le radici fanno di noi ciò che siamo e si riflettono sempre in ciò che ne deriva, senza conoscerle non potrebbe esistere una crescita evolutiva.”


*i contenuti di questo articolo hanno carattere divulgativo ed informativo.** i contenuti di questo articolo trovano ispirazione dall’esperienza didattica e professionale dell’autore unitamente ad una selezionata ricerca sitografica e bibliografica.
Del M° Nicola Gelsomino

2a Parte – Regla De Ocha o Santeria – Afro- Cubana | Orishas ( Changò – Yemaja – Babalù ayè )

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CHANGÓ
Changó è uno degli Orichas più importanti e venerati nella mitologia Yoruba ed i suoi poteri sono associati al fuoco, ai fulmini e ai tuoni di cui è considerato il Signore.È una divinità poliedrica che presenta caratteristiche proprie dei saccheggiatori e dei cacciatori, è tuttavia garante di giustizia (l’ascia bipenne, detta Oxê, che porta con se ne è il simbolo) ed è capace di scatenare forti ire con gravi punizioni per bugiardi e malfattori. È considerato anche il re dei tamburi, a lui appartengono i tamburi Batà. In qualità di Signore del fuoco è rispettato come protettore degli incendi e delle ustioni. È dipinto come un incomparabile donnaiolo, nutre una forte passione per il sesso femminile e per questo motivo vanta di innumerevoli amanti oltre alle mogli ufficiali: Oya, Obba Yurú e Ochun.
Si narra  che il suo concepimento avvenne quando Aganju (antica divinità dei vulcani, dei boschi e dei fiumi) si oppose ad Obatalà intento a voler attraversare il fiume. Quest’ultimo, al fine di aggirare il divieto, si trasformò in una bellissima donna a cui Aganju si unì generando Changó.
La sua festa è il 4 dicembre e all’Avana ci sono grandi festeggiamenti in suo onore (soprattutto danze rappresentative accompagnate dal suono di tamburi). Changó nella danza generalmente simula il gesto di prelevare un fulmine dal cielo e di portarlo, con movimenti rapidi e decisi, in prossimità dei suoi genitali come segno di virilità e di forza.
Si sincretizza in Santa Barbara ed i suoi colori sono il rosso e il bianco.

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YEMAJA
Yemaja (contrazione del nome Yey Omo Eja ossia “madre dei pesci”) è riconosciuta divinità delle acque, dei mari, degli oceani, della fertilità e dell’abbondanza (a lei si affidano le donne in gravidanza o coloro che hanno difficoltà a concepire).
Secondo la tradizione afro-caraibica è madre di tutti gli Orichas. Si narra che Yemaja fu rapita e violentata da suo figlio il quale fu colpito a morte da una potente maledizione scagliata contro di lui dalla sua stessa madre. In preda allo sconforto la dea si recò sul punto più alto di un monte nel tentativo di togliersi la vita. In quel preciso istante si ruppero lo acque (da qui il riferimento al liquido amniotico fonte di vita per gli umani associato da molti al merito affidato all’elemento “acqua” di rappresentare la primordiale fonte di vita) e partorì 14 Orichas (alcune fonti ne dichiarano 15).
Yemaja è una divinità che vanta una doppia rappresentazione. La prima è quella dotata di una personalità materna, compassionevole nei confronti dei sui figli, generosa, protettiva e con un forte senso di equità e giustizia. La seconda è un vero e proprio “mare in tempesta”, scatenata la sua ira mostra una violenta e terrificante collera.
A tutti coloro che sono a lei consacrati è imposto il divieto di pronunciare il suo nome prima di aver toccato terra con le dita e averne baciato la polvere.
È rappresentata come una bellissima donna, indossa una veste azzurra a sette veli (come sette sono i mari) con serpentine bianche (che simboleggiano le acque e la spuma delle onde) che fa ruotare simulando il movimento ondulatorio del mare. La sua danza, infatti, inizia con una risata intensa seguita da movimenti che mimano sempre più velocemente le azioni di nuotare o di remare.
Accessori immancabili sono un ventaglio in oro e madreperla decorato con conchiglie (considerate sacre e dentro cui spesso i devoti scrivevano messaggi che lasciavano sulla riva insieme a della frutta offerta in dono) e una collana di cristalli e pietre azzurre.
Si sincretizza come “Vergine de la Regla” protettrice del porto dell’Avana, delle gestanti e di tutti coloro che hanno problemi derivanti dall’acqua (es. i naufraghi).
Il suo giorno è il sabato ed il suo numero il 7.
I suoi attributi sono le scialuppe, il salvagente, la luna, il sole e l’ancora.
I suoi colori sono il blu è il bianco.

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BABALÚ AYÉ
Babalú Ayé nella Regla de Osha è l’Oricha delle malattie (soprattutto della pelle) e delle epidemie. I suoi messaggeri sono le mosche e le zanzare poiché loro stesse portatrici di malattie. A lui i devoti chiedono la grazia della guarigione, spesso è possibile individuare scie di fedeli vestiti di bianco processare in ginocchio percorrendo la strada verso il suo santuario dispensando denaro ai mendicanti e sperando in un miracolo che estingua la loro malattia o quella dei loro cari. Come strategia perché le famiglie fossero protette da qualunque patologia, i credenti posizionavano sulla porta di ingresso delle abitazioni un amuleto costituito da un sacchetto cucito con della iuta e pieno di erbe e aglio maschio il quale veniva defumato con incenso bianco e chiuso con un nastro viola accanto ad una candela accesa del medesimo colore.
Figlio di Yemaja e Orungan, Babalù Ayé è una divinità (per molti un semidio) associata alla  genesi della Terra (dal nome Oba= re e aiye=terra). Secondo la mitologia Orisha, Olorun (creatore supremo della popolazione Yoruba e padre di Obatalà) fece dono a Babalù Ayé di una potente energia sessuale, motivo per cui egli trascorreva gran parte del suo tempo a consumare coiti con numerose donne. Orolun, però, si dimostrò estremamente contrariato rispetto a questa condotta così lussuriosa per cui inviò sulla Terra un suo messaggero al fine di esortare Babalù Ayé a limitare la sua brama sessuale e a poter godere della sua vigoria tutti i giorni della settimana ad esclusione del venerdì “Santo”. Ciò non avvenne nonostante l’avvertimento divino per cui Babalù Ayé fu condannato a contrarre la sifilide e a morire. Fu poi resuscitato dal Grande Padre grazie all’ intercessione di Oshun (divinità dell’amore) ma tornato in vita la sua condotta risultò recidiva.
È rappresentato come un vecchio mendicante ricoperto di piaghe,ingobbito, vestito di juta con appesa al collo una collana a perle bianche rigate con il nero o con il blu oppure solo nere.
Nella danza si trascina come un malato (spesso interpretando crisi convulsive) e simulando una purificazione con un un suo attribuito (un “Aja” ossia un fascio d’erba) si rialza da terra gioendo dell’avvenuta guarigione.
Ha una personalità benevola, è garante di giustizia ma può risultare molto vendicativo con coloro che non mantengono le promesse fatte o con chi ignora i suoi consigli.
Si sincretizza in San Lazzaro, i suoi giorni sono il mercoledì e il venerdì. La sua festa è celebrata il 17 dicembre ed il suo colore è il viola vescovile.

*i contenuti di questo articolo hanno carattere divulgativo ed informativo.
** i contenuti di questo articolo trovano ispirazione dall’esperienza didattica e professionale dell’autore unitamente ad una selezionata ricerca sitografica e bibliografica.

Del M° Nicola Gelsomino

Origini afro-ispaniche della cultura caraibica * Del Maestro Nicola Gelsomino

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Origini afro-ispaniche della cultura caraibica * 

Lo sbarco di Cristoforo Colombo nel 1492 sulle coste del nuovo continente riempie una delle prime pagine di storia sulle origini, o meglio sulle evoluzioni e contaminazioni, delle danze caraibiche. La popolazione aborigena del nuovo mondo fu quasi subito sterminata sia per la loro istintiva e vana opposizione ai “conquistadores” sia perché esposti a patologie straniere verso cui non avevano sviluppato anticorpi in grado garantire loro la sopravvivenza. Decimandosi la popolazione autoctona i colonizzatori furono costretti ad inserire nuova forza lavoro in territorio americano ed iniziò quindi la cosiddetta “tratta degli schiaviafricani.

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Lo scambio e la contaminazione culturale fu,quindi, prevalentemente a carattere bidimensionale: cultura africana ed ispanica diedero i natali a nuovi filoni politici, religiosi e musicali le cui tradizioni si fusero in maniera piuttosto omogenea. Tale connubio culturale si manifestò soprattutto in ambito religioso con la nascita della Santeria.

orishas La “Santeria” è un termine dispregiativo coniato dai colonizzatori spagnoli al fine di denigrare la religione prettamente animista degli schiavi africani della popolazione Yoruba tassativamente vietata dal regime coloniale (gli schiavi trasgressori erano puniti con la morte). Gli africani, tuttavia, con notevole astuzia riuscirono a professare ugualmente la loro religione sincretizzando i Santi cattolici con le divinità pagane. Ogni Oricha (singola divinità Yoruba) vantava una rappresentazione a carattere distintivo dal colore delle vesti (il più similare possibile a quello dei Santi cattolici) all’elemento naturale o morale che simboleggiavano e/o proteggevano.
La proiezione dell’influenza religiosa nella sfera musicale fu subito evidente, basti pensare alle danze effettuate in onore degli orichas i cui gesti, forti e decisi, simulavano e simboleggiavano singole caratteristiche del “santo”.

To be continued ….

*i contenuti di questo articolo hanno carattere divulgativo ed informativo.
** i contenuti di questo articolo trovano ispirazione dall’esperienza didattica e professionale dell’autore unitamente ad una selezionata ricerca sitografica e bibliografica.

Del M• Nicola Gelsomino